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I “CANDIDATI TRASPARENTI” DELLA VALLE

Di seguito vi elenchiamo i candidati sindaco della BASSA VAL SUSA e della VALSANGONE che hanno aderito alla campagna di RIPARTE IL FUTURO in riferimento alla TRASPARENZA fin dal momento della campagna elettorale diventando “Candidati trasparenti” (cliccando sul nome del sindaco potrete vedere la loro candidatura trasparente).

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Comune di GIAVENO 

Comune di SANGANO

Comune di ALMESE

Comune di CASELETTE

Comune di CONDOVE

CANDIDATI SINDACO, CI RIVOLGIAMO A VOI!

Ci rivolgiamo a tutti i candidati sindaco alle elezioni amministrative di maggio 2014 di qualunque partito, lista e schieramento: anti corruzione e trasparenza non possono e non devono avere colori politici. Se siete d’accordo con quanto segue l’asciate un commento nell’apposita sezione. Potete mandare il CURRICULUM e le altre informazioni  liberavalsangone@gmail.com cosi da potervi dedicare una pagina personalizzata

Ai candidati sindaci chiediamo di mettere in cima alla propria agenda la lotta alla corruzione in tre modi:

1 – Rendendo trasparente la propria candidatura in campagna elettorale, attraverso la pubblicazione del proprio Curriculum Vitae, la propria storia giudiziaria, la propria situazione reddituale e patrimoniale e autodichiarando potenziali conflitti d’interesse.

2 – Promettendo di adottare la delibera “Trasparenza a costo zero” entro i primi 100 giorni.

La delibera richiede:

  • pubblicazione online e diffusione dell‘anagrafe di tutti gli eletti;
  • informazione semplificata sui bilanci del comune, fornendo dati dettagliati su partecipate ed enti simili;
  • adozione di un codice etico comunale su modello della Carta di Pisa promossa da Avviso Pubblico
  • creazione di una Tavola pubblica per la trasparenza, composta da istituzioni e società civile
  • trasparenza sulla gestione dei beni confiscati (per i comuni che li hanno), attraverso un elenco pubblico dei beni, i bandi per le assegnazioni, le verifiche e le informazioni sull’utilizzo.

3 – Impegnandosi ad attuare le prescrizioni della delibera entro i successivi 200 giorni

Per ulteriori delucidazioni ci si può informare direttamente dal sito di “Riparte il Futuro” o nella sezione “Domande”

http://www.riparteilfuturo.it/

GIAVENO, UNA NUOVA PIAZZA DEDICATA AI GIUDICI FALCONE E BORSELLINO

Il 28 Marzo in Giaveno, l’amministrazione ha dedicato una piccola piazzetta adibita a parcheggio pubblico ai magistrati ANTIMAFIA -GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO. LIBERA era presente con la rappresentanza del presidio VALSANGONE (Don Pino Puglisi).

Tra i partecipanti, oltre la presenza di alcune associazioni, c’erano i ragazzi della scuola elementare “ANNA FRANK” i quali hanno letto brani del libro di Alberto Melis “DA CHE PARTE STARE” che racconta la vita giovanile dei due magistrati raccontata dalle due sorelle.
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L’omaggio di Milano a Lea Garofalo. Don Ciotti: “Oggi la verità è giustizia”

Autorità sostengono Lea

Tanti cittadini in piazza Beccaria per ricordare la testimone di giustizia uccisa dalla mafia. Durante la cerimonia viene letto il messaggio che la vittima scrisse a Napolitano: “Abbiamo bisogno di aiuto”. Il messaggio della figlia Denise, costretta a vivere nascosta

Tremila bandiere fucsia, gialle e arancioni – i colori di Libera, l’associazione presieduta da folla per Leadon Luigi Ciotti – con il volto giovane e sorridente della ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e la scritta ‘vedo, sento parlo’. E tanti, tantissimi mazzi di fiori, degli stessi colori delle bandiere, in un’onda colorata che per una mattinata ha rotto il grigiore del cielo sopra Milano e insieme ha fatto da sfondo a una cerimonia che ha voluto lanciare un messaggio preciso per affermare, usando le parole di don Ciotti, che “la verità è giustizia”.

Un delitto con quattro colpevoli. La città ha reso l’ultimo omaggio a Lea Garofalo, la giovane donna che ha trovato il coraggio di collaborare con la giustizia, denunciare quel contesto di ‘ndrangheta in cui era vissuta e che per questo, proprio a Milano, ha trovato la morte: il 24 novembre del 2009 Lea e’ stata separata dalla figlia, rapita, interrogata, uccisa e bruciata. Quel che resta di lei, 2.800 frammenti ossei, sono stati recuperati lo scorso anno in una buca nel quartiere monzese di San Fruttuoso. Per il suo omicidio sono state condannate all’ergastolo quattro persone fra cui Carlo Cosco, il suo ex compagno e padre di sua figlia Denise.

Il saluto della figlia Denise. A volere che il funerale della madre si tenesse a Milano è stata proprio Denise, che oggi ha 22 anni e che ancora vive sotto protezione. Ospitata per motivi di sicurezza nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale, Denise non ha perso un attimo della celebrazione che ha commosso centinaia di persone ed è intervenuta in prima persona, dietro una balconata, per dire “ciao mamma”. Facendo risuonare la sua voce in tutta la piazza, in un breve addio insieme orgoglioso e straziante, la ragazza ha salutato i presenti: “Ciao a tutti e grazie di cuore di essere venuti qui. Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene”.

Don Puglisi BEATIFICATO


BEATIFICAZIONE DON PINO PUGLISI, IL RICORDO DI DON LUIGI CIOTTI

«Era uno che non si era incanalato, che faceva di testa sua». «Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada… Martellava e rompeva le scatole».
Queste parole di Gaspare Spatuzza e di Giovanni Drago, mafiosi divenuti collaboratori di giustizia, basterebbero a spiegare, nella loro rozza schiettezza, perché don Pino Puglisi è stato ucciso.
Ma sono molto lontane dal dire chi davvero fosse don Pino Puglisi, da cosa nasce quel “rompere le scatole” che lo avrebbe esposto alla vendetta del crimine mafioso.
È quello che cerca di fare questo libro di Francesco Deliziosi. Libro bello e importante perché, con mirabile sintesi, riesce a fondere il “soggettivo” e l'”oggettivo”. Deliziosi scrive infatti sia in base alla conoscenza diretta – è stato amico e allievo di Puglisi – sia in base a una profonda, rigorosa documentazione (ha fatto parte, tra l’altro, della commissione preposta a raccogliere il materiale per avviare il processo di beatificazione di Puglisi).
Chi era dunque don Puglisi?
Del ritratto di Deliziosi mi hanno colpito alcuni aspetti e di questi vorrei parlare. Con un’avvertenza, però. Isolare questi aspetti senza coglierne la profonda continuità sarebbe un grave errore di prospettiva. Come tutte le persone restie a fare della propria coscienza un luogo di eterna mediazione e contrattazione, Puglisi imprimeva a tutto ciò che faceva il senso della ricerca e del bisogno di verità. Se era un “rompiscatole”, era perché le scatole le rompeva innanzitutto a se stesso, perché non si accontentava di “fare”, ma voleva fare bene, con rigore, coerenza e serietà.
Il primo aspetto che salta agli occhi è quello dell’educatore. Don Puglisi aveva – lo dicono in tanti – un talento raro nell’educare. Il che significa che il suo insegnamento era fondato sull’ascolto e sul comportamento, più che sulle parole. Non gli interessava tanto trasmettere nozioni, quanto che le persone diventassero capaci di scegliere con coscienza e responsabilità. Ossia che fossero libere. In questo senso, educare per lui era davvero accompagnare ciascuno a scoprire la propria diversità, con pazienza e delicatezza, senza pressioni né condizionamenti, stimolando quel confronto con le grandi domande della vita senza il quale la nostra libertà è ridotta a capriccio, arbitrio, semplice sfogo di impulsi.
Che tutto ciò portasse a esiti diversi dall’abbracciare la fede, non era affatto per don Puglisi segno di sconfitta. Per lui contava che le persone imparassero lo stupore e la conoscenza, capissero che è l’io in funzione della vita e non la vita in funzione dell’io. In quella dimensione avrebbero trovato, anche da laici, il loro modo di credere e di vivere. «Nessun uomo è lontano dal Signore – scrisse un giorno meravigliosamente – Lui è vicino, senz’altro, ma il Signore ama la libertà. Non impone il Suo amore, non forza il cuore di nessuno di noi. Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere. Lui bussa e sta alla porta».
Questa ricchezza umana e apertura di vedute don Pino la portò anche dentro la Chiesa. Ancora giovane, negli anni Sessanta trovò nel Concilio la risposta ai sentimenti e alle intuizioni che turbavano il suo cuore. E se la Unitatis Redintegratio del 1964 sottolinea che «la Chiesa pellegrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui essa stessa, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno», la vita di don Puglisi sembra incarnare questo spirito inquieto, teso a una continua riforma di sé, disposto ad accettare con fiducia e coraggio le sfide anche ardue che gli si pongono innanzi.
Così quando questo vivere la fede ritenuto da alcuni troppo “moderno” costa al giovane prete il trasferimento a Godrano, paesino di mille abitanti a circa 40 chilometri da Palermo, don Pino non si scompone più di tanto. E agli amici che protestano contro un provvedimento sentito come una punizione, risponde col suo sorriso mite: «Non sono figli di Dio anche questi uomini di Godrano?».
Inevitabile il richiamo alle parole che don Milani scrisse alla madre da Barbiana: «Non c’è motivo di considerarmi tarpato se sono quassù. La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, e neanche le possibilità di fare del bene si misurano sul numero dei parrocchiani».
Le due situazioni presentano però una differenza di fondo. Se infatti a Barbiana don Lorenzo trova una comunità da condurre con totale dedizione sul cammino della conoscenza e del riscatto sociale, a Godrano don Pino s’imbatte in una realtà chiusa, diffidente, segnata da una lunga e sanguinosa faida fra famiglie. In quel paesino incastonato nelle Madonie sperimenta sulla propria pelle la forza di una mentalità – quella della vendetta e di un malinteso senso dell’onore – che, anche quando è strettamente legata alla mafia, le offre un terreno fertile per radicarsi. E che può trovare indiretta sponda in forme di religiosità confinate nel «chiuso della sacrestia e di pratiche devozionali e bigotte». Per don Pino, tuttavia, è una ragione di più per rimboccarsi le maniche, e anche a Godrano saprà stanare la speranza in cuori induriti dall’odio e dal pregiudizio, suscitando negli adulti il desiderio del perdono e della riconciliazione, nei giovani un’idea di convivenza non riducibile alle mura di casa o all’appartenenza al proprio clan.
Ecco allora che il rientro a Palermo e il successivo ritorno nella natia Brancaccio sono per Pino l’occasione per continuare con maggior forza il cammino intrapreso: da un lato i percorsi educativi – «perché con i bambini e gli adolescenti si è ancora in tempo» – dall’altro il concepire la parrocchia, prima che come un luogo di culto, come uno strumento di promozione umana e sociale, strumento di una Chiesa più aperta, più “periferica”, più vicina ai poveri, più attenta alle questioni sociali. I cui pastori non dimenticano certo la dottrina, ma sanno che essa non può sostituire la costruzione del bene e la ricerca impervia della verità. «Il sacerdote di domani – ha scritto Karl Rhaner, il grande teologo conciliare che fu uno dei riferimenti di Puglisi – sarà un uomo che sopporta la pesante oscurità dell’esistenza con i suoi fratelli e sorelle. Il sacerdote di domani non sarà colui che deriva la propria forza dal prestigio sociale della Chiesa, ma che avrà il coraggio di far sua la non-forza della Chiesa».
Il libro racconta nei dettagli le tante iniziative che questo piccolo grande prete ha saputo mettere in piedi negli anni del suo ritorno a Palermo, il suo affanno e la sua costante rincorsa al tempo, rubato al sonno e perfino al cibo (se non riusciva quasi mai a essere puntuale, don Puglisi, era perché prima lo era stato con tante, con troppe persone…). Racconta il suo caricarsi delle speranze e delle istanze di giustizia di tanta gente ma anche il suo promuovere l’impegno collettivo, la collaborazione con altre realtà ecclesiali e civili, perché «se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto».
E ci si chiede, leggendo queste pagine, come un’attività così frenetica e incisiva (e tuttavia discreta: Puglisi era un uomo schivo, che rifuggiva ogni protagonismo) potesse non finire nelle mire dei boss e di quanti vogliono mantenere le comunità sotto una cappa d’ignoranza, di miseria, di fatalismo. Mire – duole dirlo – che si sono avvalse nel passato anche di sottovalutazioni e perfino compromissioni in ambito ecclesiastico, prima che le nette parole di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i martirî di don Puglisi e di don Peppe Diana, evidenziassero l’incompatibilità della mafia con lo spirito del Vangelo, con l’amore di Gesù per i poveri, i miti, i perseguitati.
Molti hanno cercato di dare una definizione all’attività pastorale di don Pino. Nel mio piccolo voglio sottolineare come la definizione “prete antimafia” sia sbagliata non solo perché ogni definizione, sia pure attribuita con le migliori intenzioni, impoverisce la complessità di una vita. Ma perché Puglisi aveva capito che il problema non è tanto la mafia come organizzazione criminale (se così fosse basterebbero la magistratura e le forze di polizia) quanto la mafiosità, il mare dentro cui nuota il pesce mafioso. L’assassinio di don Pino Puglisi ci ricorda che sconfiggeremo le mafie solo quando saremo capaci di fare pulizia attorno e dentro di noi, quando supereremo gli egoismi, i favoritismi, i privilegi e l’inevitabile corruzione che questo modo d’intendere la vita porta con sé. Solo quando avremo il coraggio di riconoscere anche le nostre responsabilità, responsabilità non solo dirette ma indirette, riferibili a quel peccato di omissione che consiste nell’interpretare in modo restrittivo e puramente formale il nostro ruolo di cittadini.
In tal senso la beatificazione di don Pino Puglisi è, paradossalmente, una “spina nel fianco” per tutti noi. Non solo per una Chiesa chiamata più che mai, nell’attuale crisi mondiale, a saldare il Cielo e la Terra, la dimensione spirituale con l’impegno per la giustizia sociale. Ma per chiunque, cristiano o laico, si senta chiamato a contribuire alla costruzione della speranza già a partire da questo mondo.

don Luigi Ciotti

Prefazione scritta da don Luigi Ciotti al libro “Pino Puglisi il prete che fece tremare la mafia”

Beatificazione Don Puglisi

Per festeggiare la Beatificazione di Don Pino Puglisi, Libera Biella propone due eventi:
-ore 18,30 Santa Messa presso la Chiesa Parrocchiale di S.Stefano, Occhieppo Superiore
al termine faremo una lettura a “canone” dei nomi delle vittime innocenti di mafie.
-ore 21,00 MUSICA E PAROLE CONTRO LE MAFIE, sotto i portici del Comune di Biella, a cura dei ragazzi di Libera e del gruppo musicale “I Malarazza”

http://youtu.be/Z1Ful8DP7zI   documentario sulla figura di Don Puglisi

Pino Puglisi