Archivio mensile:ottobre 2013

L’omaggio di Milano a Lea Garofalo. Don Ciotti: “Oggi la verità è giustizia”

Autorità sostengono Lea

Tanti cittadini in piazza Beccaria per ricordare la testimone di giustizia uccisa dalla mafia. Durante la cerimonia viene letto il messaggio che la vittima scrisse a Napolitano: “Abbiamo bisogno di aiuto”. Il messaggio della figlia Denise, costretta a vivere nascosta

Tremila bandiere fucsia, gialle e arancioni – i colori di Libera, l’associazione presieduta da folla per Leadon Luigi Ciotti – con il volto giovane e sorridente della ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e la scritta ‘vedo, sento parlo’. E tanti, tantissimi mazzi di fiori, degli stessi colori delle bandiere, in un’onda colorata che per una mattinata ha rotto il grigiore del cielo sopra Milano e insieme ha fatto da sfondo a una cerimonia che ha voluto lanciare un messaggio preciso per affermare, usando le parole di don Ciotti, che “la verità è giustizia”.

Un delitto con quattro colpevoli. La città ha reso l’ultimo omaggio a Lea Garofalo, la giovane donna che ha trovato il coraggio di collaborare con la giustizia, denunciare quel contesto di ‘ndrangheta in cui era vissuta e che per questo, proprio a Milano, ha trovato la morte: il 24 novembre del 2009 Lea e’ stata separata dalla figlia, rapita, interrogata, uccisa e bruciata. Quel che resta di lei, 2.800 frammenti ossei, sono stati recuperati lo scorso anno in una buca nel quartiere monzese di San Fruttuoso. Per il suo omicidio sono state condannate all’ergastolo quattro persone fra cui Carlo Cosco, il suo ex compagno e padre di sua figlia Denise.

Il saluto della figlia Denise. A volere che il funerale della madre si tenesse a Milano è stata proprio Denise, che oggi ha 22 anni e che ancora vive sotto protezione. Ospitata per motivi di sicurezza nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale, Denise non ha perso un attimo della celebrazione che ha commosso centinaia di persone ed è intervenuta in prima persona, dietro una balconata, per dire “ciao mamma”. Facendo risuonare la sua voce in tutta la piazza, in un breve addio insieme orgoglioso e straziante, la ragazza ha salutato i presenti: “Ciao a tutti e grazie di cuore di essere venuti qui. Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene”.

Stragi: per i pm ha un nome “Faccia da mostro”, cerniera tra Stato e mafia

Secondo la Procura di Caltanissetta sarebbe Giovanni Aiello, un ex agente ora in pensione, l’uomo dal volto deformato che sarebbe stato presente a Capaci e avrebbe avuto un ruolo in altri delitti rimasti irrisolti. Con in tasca la tessera dei servizi segreti

di Giuseppe Pipitone | 8 ottobre 2013

attentato Falcone

Ha percorso come un’ombra tutta la Palermo delle stragi, per poi scomparire definitivamente, lasciando traccia di sé soltanto dentro ai verbali di collaboratori e testimoni. È stato indicato come un fantasma, un uomo taciturno con la faccia butterata, orribile, mostruosa, sempre presente quando c’era una strage da fare, un eccidio in cui si dovevano coprire le tracce per sottrarre dalla scena ogni possibile indizio rivelatore. Adesso “Faccia da Mostro“, il killer con tesserino dei servizi in tasca, che sullo sfondo di ogni strage agiva da uomo cerniera tra Cosa Nostra e Stato, sembra aver recuperato un nome, dopo essere quasi svanito dalle inchieste. Faccia da Mostro invece esiste, non è un’invenzione, e la sua identità sarebbe quella di un ex dirigente di polizia in pensione, con il volto sfigurato a causa dell’accidentale esplosione di un’arma da fuoco: il suo nome, secondo la Procura di Caltanissetta, è Giovanni Aiello.

Identità già nota alla Procura, quella di Aiello, che lo aveva iscritto nel registro degli indagati, per poi chiederne ed ottenerne l’archiviazione nel dicembre del 2012. Adesso però sono arrivati nuovi elementi e la procura nissena ha nuovamente stretto il cerchio sul nome di Aiello, che è ritornato al centro delle indagini dei pm guidati da Sergio Lari. Pochi mesi fa, a fare il nome di Aiello davanti ai colleghi di via Giulia, era stato il procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia Gianfranco Donadio, incaricato dall’ex procuratore nazionale Piero Grasso di seguire le indagini sulle stragi. Donadio ha dunque recuperato alcune testimonianze di collaboratori di giustizia, che indicavano in Aiello l’uomo con la faccia butterata operativo a cavallo delle stragi che insanguinarono l’Italia tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

Il primo a fare il nome di Aiello era stato il pentito Vito Lo Forte, la cui testimonianza però è ancora oggi tutta da riscontrare. A parlare di Faccia da Mostro era stato anche Luigi Ilardo, il boss nisseno infiltrato dai Carabinieri al seguito di Bernardo Provenzano e poi misteriosamente ucciso nel 1996. “Noi – disse Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio – sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino”. Ed è proprio a Villagrazia di Carini che Faccia da Mostro fa per la prima volta il suo ingresso sulla scena: pochi giorni prima dell’omicidio del poliziotto Nino Agostino, il il 5 agosto del 1990, un uomo con il volto deturpato andò a bussare a casa sua: “Era un uomo con i capelli biondi, dal viso orribilmente butterato” ha raccontato Vincenzo Agostino, padre del poliziotto ucciso, di cui oggi non si conoscono ancora gli assassini.

Tracce di Faccia da Mostro però si trovano anche oltre lo Stretto: l’ultimo collaboratore a fare il nome del misterioso killer di Stato è infatti un calabrese affiliato alla ‘Ndrangheta, si chiama Nino Lo Giudice, è soprannominato il Nano, e fino a pochi mesi fa era un collaboratore di giustizia. Prima di ritrattare quanto raccontato, accusando i magistrati che lo avevano interrogato di “drogare” le sue dichiarazioni, il Nano aveva fatto cenno a Faccia da Mostro, individuandolo in Aiello, e aggiungendo che “agiva sempre con una donna, una tale Antonella: tutti e due facevano parte a servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi”. Nel giugno scorso però Lo Giudice ha ritrattato le sue dichiarazioni, rendendosi latitante.

C’è un altro uomo che però indica in una donna la partner dell’orrore di Faccia da Mostro: è Giuseppe Maria Di Giacomo, esperto killer del clan catanese dei Laudani. Piste, ipotesi, spifferi, testimonianze ancora oggi tutte al vaglio degli inquirenti, che in queste ore, oltre ad indagare su Aiello, lavorano per capire chi sarebbe la tale Antonella citata da Lo Giudice, addestrata dai servizi per diventare una sorta di killer di Stato.

Agli atti della procura di Caltanissetta però adesso c’è anche un altro verbale che allarga il quadro delle indagini: quello del collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera. L’uomo che il 23 maggio del 1992 avvisò i killer di Giovanni Falcone dell’arrivo delle auto blindate dall’aeroporto, ha fatto per la prima volta cenno ad una presenza estranea a Cosa Nostra nelle fasi preparatorie del botto di Capaci: quando i boss si erano riuniti per collegare le singole cariche d’esplosivo che avrebbero ucciso Falcone, tra loro c’era anche un uomo estraneo all’organizzazione, sconosciuto al livello operativo di Cosa Nostra che parlava “soltanto a bassa voce”.

Dichiarazioni che per la prima volta suggeriscono una compartecipazione estranea a Cosa Nostra per l’assassinio di Falcone, ma operativa nelle fasi finali dell’attentato, e che somigliano molto a quelle rese da Gaspare Spatuzza sull’eliminazione di Paolo Borsellino, avvenuta 57 giorni dopo la strage di Capaci. “Mentre veniva imbottita di esplosivo la Fiat 126 nel garage tra noi c’era uno elegante, biondino, mai visto prima, parlava con Gaetano Scotto” ha raccontato il collaboratore ricostruendo la fase preparatoria della strage di via d’Amelio. L’interrogativo è inevitabile: l’uomo che partecipa con i boss alla preparazione della strage di via d’Amelio è lo stesso notato da La Barbera nei giorni precedenti al botto di Capaci ? E a che titolo partecipa alla strage? È quell’uomo è sempre Faccia da Mostro?

C’è un piccolo sacchetto di carta, di quelli utilizzati dalle farmacie, che viene ritrovato subito dopo la strage di Capaci ad appena 63 metri di distanza dall’enorme cratere che squarcia l’autostrada. Sopra il sacchetto, come se fossero stati spostati dall’esplosione, vengono ritrovati un guanto di lattice, del mastice adesivo e una torcia: tutta roba probabilmente utilizzata nelle fasi preparatorie della strage, quando gli attentatori riempiono il ventre dell’autostrada con fusti pieni d’esplosivo trascinati sotto l’asfalto grazie ad alcuni skateboard.

All’epoca della strage era impossibile rilevare le impronte digitali dal guanto di lattice: oggi, però, la tecnologia permette di ricostruirle anche da una particella di impronta papillare. È a questo che stanno lavorando i consulenti nominati dalla Caltanissetta: sul guanto di lattice è infatti stata riscontrata la presenza di frammenti di Dna, che già dopo le prime analisi sembra avere una struttura abbastanza rara, non troppo diffusa. L’uomo che usò quel guanto più di vent’anni fa ha, quindi, lasciato una firma indelebile sul luogo della strage: per capire se si tratta di un killer ancora sconosciuto bisognerà solo aspettare la fine degli accertamenti, quando quel frammento di Dna sarà paragonato a quello dei boss che facevano parte del commando che uccise Falcone. E tra loro potrebbe esserci stato sempre lui: l’uomo delle stragi impunite, con un tesserino dei servizi in tasca e una faccia orribile, da mostro.

La ’Ndrangheta alla sbarra, chiesti quattro secoli di carcere

Processo Minotauro

“Minotauro” e “Colpo di Coda”, mano pesante del pg.

Due durissimi colpi alla ’ndrangheta dislocata in Piemonte sono stati inflitti ieri mattina nelle aule del tribunale di Torino nell’ambito dei procedimenti Minotauro e Colpo di Coda.
La maxi inchiesta dei carabinieri e della Dda, culminata nella notte dell’8 giugno 2011 con 153 arresti, è arrivata all’appello con rito abbreviato e le richieste di condanna ricalcano le sentenze di primo grado. L’operazione invece che ha interessato i «locali» di Chivasso e Livorno Ferraris è giunta alle prime, pesantissime, condanne coi riti cosiddetti speciali.
Quattrocento anni di carcere. Li ha chiesti ieri il pg Elena Daloiso nel processo di appello Minotauro che vede sul banco degli imputati 62 persone, quasi tutte accusate di 416 bis. È la conferma dell’impostazione dei pm (Sparagna, Abbatecola, Arnaldi di Balme, Tibone, Castellani e Malagnino) che misero in piedi il grattacielo di contestazioni agli affiliati dei locali di ’ndrangheta, e delle condanne di primo grado.
Nelle maglie di questa porzione di processo è finita soprattutto la struttura denominata «Crimine», organismo deputato alle azioni violente (estorsioni, omicidi, bombe) della mala calabrese che annovera tra i suoi ranghi personaggi di indubbio spessore malavitoso: dai fratelli Adolfo e Cosimo Crea (rispettivamente 12 e 2 mesi e 10 anni e 10 mesi) e ai loro sodali più stretti.
Ci sono anche però personaggi di elevata caratura criminale come Giuseppe Fazari, Antonio Agresta, Bruno Iaria (13 anni e sei mesi) e Giovanni Iaria (deceduto in carcere a febbraio 2013) e numerosi capi di locali distaccati in provincia. Solo per alcuni di loro – tre su un totale di 62 imputati – il pg ha chiesto una lieve riduzione di pena.

La coda del Minotauro
L’impianto accusatorio ha retto bene anche nell’abbreviato di Colpo di Coda, appendice dell’operazione Minotauro che ha scoperchiato affari e strutture dei due locali di Chivasso e Livorno Ferraris. Le manette erano scattate esattamente un anno fa (22 ottobre 2012). In carcere erano finite 19 persone. Ieri le prime maxi condanne: Salvatore Cavallaro 10 anni e otto mesi, Antonino Fotia 6 anni, Beniamino Gallone 7 anni e 4 mesi, Gaetano Lo Monaco 5 anni, Mario Tonino Maiolo 6 anni e 8 mesi, Pasquale Maiolo 10 anni e 8 mesi. Due imputati hanno patteggiato, gli undici rimanenti sono stati rinviati a giudizio e si preparano ad affrontare il processo con rito ordinario.

Ottimismo in Procura
È chiaro che alla luce di queste ultime novità processuali, ci sia grande soddisfazione in Procura. E – allo stesso tempo – cresca l’ottimismo per l’appello del procedimento Alba Chiara, incentrato sulla presenza della ’ndrangheta nel Basso Piemonte, che si è chiuso mesi fa con un coro di assoluzioni. La Procura vuole riaprire la partita. E già la Corte d’Appello, in un ricorso contro alcuni sequestri di beni di imputati in quel procedimento, ha ritenuto che fossero validi e ci fossero tutti gli estremi dell’associazione mafiosa.

Costituzione la via maestra con Ciotti e Zagrebelsky

Difendiamo la COSTITUZIONE
Difendiamo la COSTITUZIONE

Lunedì 7 ottobre
h.21.00, Fabbrica delle E, Corso Trapani 91/B, Torino
Assemblea pubblica con Don Luigi Ciotti e Gustavo Zagrebelsky in preparazione alla manifestazione di Roma del 12 ottobre in difesa e per l’applicazione della Costituzione. A Roma, il 12, in Piazza della Repubblica dalle ore 14:00 si terrà una manifestazione nazionale per difendere la Costituzione e rivendicarne l’applicazione. Come è scritto nell’appello “La difesa della Costituzione è innanzitutto la promozione di un’idea di società, divergente da quella di coloro che hanno operato finora tacitamente per svuotarla e, ora, operano per manometterla formalmente. […] Non è la difesa d’un passato che non può ritornare, ma un programma per un futuro da costruire in Italia e in Europa.”
Per maggiori informazioni: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/8657

Mailbombing: la Città dedichi un luogo a Mauro Rostagno

Libera "inaugura" il ponte per Rostagno
Libera “inaugura” il ponte per Rostagno

Mille cittadini torinesi aspettano una risposta. Un sì o un no, nient’altro.
Vogliamo un luogo che ricordi a Torino Mauro Rostagno, che proprio in questa città è nato.
Pretendiamo una risposta perché siamo orgogliosi della sua storia.
Di seguito tutte le istruzioni e il testo del mailbombing pensato per incentivare l’Amministrazione della Città di Torino a rispondere ed agire, soprattutto
ISTRUZIONI DEL MAILBOMBING
Amici, come sapete, in occasione del 25esimo anniversario della morte di Mauro Rostagno, abbiamo deciso di intitolare il ponte di via Livorno a Torino alla sua memoria.
Un gesto simbolico per spingere l’amministrazione a dare una risposta alla proposta di intitolare un luogo alla sua figura.
Ma dal Comune di Torino nessuna risposta. E’ dal 2008 che, attraverso una raccolta firme, chiediamo un riconoscimento a Mauro Rostagno, nella città in cui è nato.
Visto l’immobilismo dell’Amministrazione, abbiamo deciso di procedere con un “mailbombing”. Ovvero: vi chiediamo di inoltrare il testo sotto riportato ai seguenti indirizzi
segreteria.sindaco@comune.torino.it
presidente.consigliocomunale@comune.torino.it
vicepresidente.levi@comune.torino.it
vicepresidente.magliano@comune.torino.it
presidente.consigliocomunale@comune.torino.it
italiadeivalori@comune.torino.it
misto-maggioranza@comune.torino.it
gruppomoderati@comune.torino.it
gruppopartitodemocratico@comune.torino.it
gruppo.sel@comune.torino.it
alcentroconscanderebech@comune.torino.it
alleanzaperlacitta@comune.torino.it
fratelliditalia@comune.torino.it
leganord@comune.torino.it
progettazione@comune.torino.it
movimento5stelle@comune.torino.it
pdl@comune.torino.it
torinolibera@comune.torino.it
E’ la metodologia pensata per spronare l’Amministrazione ad agire.
Inviate questa mail, una volta al giorno, con il seguente oggetto: La Città dedichi un luogo a Mauro Rostagno”.
Possiamo farcela, ma dobbiamo essere costanti nell’invio. Prima o poi si accorgeranno di noi…
ECCO IL TESTO DEL MAILBOMBING!
E’ nato a Torino nel 1942.
E’ morto a Trapani per mano mafiosa nel 1988.
Vorrei che la sua città di nascita si ricordasse di lui.
Qui a Torino tutto è iniziato. Qui vive oggi tutta la sua famiglia, anche suo nipote Pietro che non ha mai conosciuto.
PONTE MAURO ROSTAGNO: Perché no?
(firma)
per Mauro Rostagno, un cittadino torinese (scomodo?)
P.S.
Nel 2008 più di mille cittadini torinesi hanno messo la loro firma in calce a una petizione che chiedeva un luogo intitolato a Mauro Rostagno: che ne è di quella volontà popolare?”
Per sapere la storia di Mauro Rostagno: http://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Rostagno