Archivi categoria: STATO-MAFIA

Indagine su presunti accordi STATO – MAFIA

MANIFESTO ANTIMAFIA

Stupendo pomeriggio di formazione ieri alla Certosa 1515 ad Avigliana.

Con gli amici dei presidi Bassa Val Susa, Val Sangone , Beinasco e Biella, si è “scavato ” e DIGERITO il libro di Nando Della Chiesa “MANIFESTO ANTIMAFIA”.

Si è potuto fare in modo agevole anche grazie alle “slide” preparate da Domenico del Presidio Libera Biella e dalla presentazione di Luisa.

Belle le esortazioni a non CEDERE ma sforzarsi di DIFFONDERE CON CONSAPEVOLEZZA L’ANTIMAFIA.

Manifestoantimafia

http://ita.calameo.com/read/003420203f0cc62514e8d

(all’indirizzo sopra, una visione delle slide)

3 anni e 6 mesi di carcere per don Nuccio Cannizzaro…NULLA DI FATTO

Reggio Calabria, fuochi d’artificio per festeggiare la prescrizione di un sacerdote in un processo di ‘ndrangheta

Per il tribunale l’accusa rivolta a don Nuccio Cannizzaro, per aver dichiarato il falso a vantaggio del presunto boss Santo Crucitti è prescritto, il prete non può essere punito. Ieri a Condera, quartiere della periferia nord di Reggio Calabria, in tanti hanno avuto ragione di festeggiare la sentenza. Infatti il processo “Raccordo-Sistema” – con alla sbarra oltre che il parroco anche presunti boss e affiliati della ‘ndrangheta – è praticamente crollato nella sua interezza.

Possiamo dire che insieme all’accusa è venuta meno la speranza che la GIUSTIZIA possa essere portata alla luce, che i giusti possano essere RISCATTATI.

Continua la lettura di 3 anni e 6 mesi di carcere per don Nuccio Cannizzaro…NULLA DI FATTO

SENTENZA ROSTAGNO

Ingroia: “Tappa di un percorso verso la verità”

a cura di Norma Ferrara il 22 maggio 2014.

Si dice soddisfatto di questa sentenza per il delitto di Mauro Rostagno l’ex pm Antonio Ingroia che dalla fine dell’estate del 1996, quando gli atti passarono alla Dda di Palermo, ha coordinato le indagini per il delitto del sociologo-giornalista ucciso a Trapani il 26 settembre del 1988.  Presente all’apertura del processo, cui si è arrivati grazie ad una perizia balistica su un frammento dell’arma che sparò a Rostagno, l’ex magistrato è tornato in aula nella veste di commissario della Provincia di Trapani, parte civile nel processo. Il 15 maggio scorso la Corte ha condannato i boss Vito Mazzara e Vincenzo Virga all’ergastolo e nell’intervista rilasciata a Libera Informazione Ingroia ripercorre alcune tappe di questa inchiesta, sottolineando i numerosi depistaggi “intenzionali” cui è stata esposta e che sono state riscontrati anche nel processo. “Mafia e non solo mafia” – aveva sempre detto negli ultimi anni Ingroia “E ne sono ancora convinto – continua oggi – questa sentenza è una tappa di un percorso verso la verità”.

VIDEO: http://youtu.be/DeNxf_xddew

Stato-mafia, azzerato il pool di Palermo

nino-di-matteo-pm

Indaga solo chi fa parte della Dda.

 

Una beffa per Nino Di Matteo. Una circolare del Csm ha praticamente azzerato il pool di Palermo, che non può più fare nuove indagini sulla trattativa fra i vertici della mafia e pezzi dello Stato.
La direttiva ordina che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbano essere affidati esclusivamente a chi fa parte della Dda, la direzione distrettuale.
ESCLUSI DALLE INDAGINI. Come si legge su Repubblica, Di Matteo è formalmente scaduto da quattro anni, ufficialmente è assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi. Roberto Tartaglia, invece, non fa ancora parte della Dda. Fino ad oggi, i due magistrati che hanno istruito il processo in corso a Palermo sono stati solo «applicati» al pool.
Il terzo componente del gruppo, Francesco Del Bene, è l’unico ancora legittimato a fare nuove indagini, ma fino al primo giugno, poi è previsto che scada anche lui dall’incarico decennale in Dda.
INCHIESTA SULLA FALANGE ARMATA. La circolare del Csm, che non ammette deroghe, è stata spedita a tutte le procure d’Italia e stabilisce che nessun nuovo fascicolo antimafia possa più essere gestito da chi non fa parte della direzione distrettuale, «salvo casi eccezionali».
Alla procura siciliana, che aveva acquisito una competenza unica a riguardo, nessuno ha voglia di commentare. Ma il malumore cresce.
Il pool di Palermo, tra le altre cose, stava cercando di chiarire il ruolo della misteriosa Falange Armata, la sigla che rivendicava gli attentati del 1992-1993 ai centralini delle agenzie di stampa e che è ricomparsa in una lettera minacciosa spedita in carcere al boss Totò Riina.

SE QUESTA CIRCOLARE FOSSE STATA APPLICATA AI TEMPI DI FALCONE E BORSELLINO, QUESTI NON AVREBBERO POTUTO ISTITUIRE I MAXI PROCESSI.

Martedì, 06 Maggio 2014

 

Interpellanza alla camera http://youtu.be/hjAnzB-hB2Y

CHIARIMENTI SUL 416ter

stop tangenti

  La riforma del 416 TER

Lo scambio elettorale politico-mafioso è un reato disciplinato dall’articolo 416 ter del codice penale italiano, inserito nel libro secondo. Il reato è stato introdotto dal D.L. n. 306 del 1992 convertito con modificazioni dalla legge n. 356 del 7 agosto 1992 e modificato ancora il 16 aprile 2014 sotto la spinta di quasi 500mila cittadini che hanno firmato la campagna Riparte il futuro.

L’articolo, che vuole contrastare i legami politico-mafiosi, è strettamente connesso con la fattispecie prevista dall’art. 416 bis: infatti prevede la pena per chi ottiene la promessa dei voti dalla criminalità organizzata (il procacciamento di voti per sé o per altri o l’ostacolo al libero esercizio del voto rientra tra i programmi dell’associazione mafiosa) in cambio della erogazione di denaro.

(VEDI I DUE TESTI DI LEGGE A CONFRONTO)

 http://www.riparteilfuturo.it/confronto-416ter/

RIPARTE IL FUTURO CON LA LEGALITA’

La riforma del 416ter è legge: una buona notizia, con un errore da correggere

riparte416

http://www.riparteilfuturo.it/la-riforma-del-416ter-e-legge-una-buona-notizia-con-un-errore-da-correggere/

E’ stato FINALMENTE approvata la legge che sanziona IL VOTO DI SCAMBIO!

Molte sono le polemiche che hanno accompagnato il lungo percorso di questa legge voluta dallo stesso FALCONE più di 20 anni fa. In un primo tempo, alla stesura della legge, alla Camera è stato votato all’unanimità, il testo che prevedeva l’introduzione delle “famose parole” ..

“E QUALUNQUE ALTRA UTILITA’ ” riferito a qualunque beneficio il politico o il mafioso potesse ottenere dallo scambio.

Tale scambio si chiedeva di punirlo con una pena che andava da 7 a 12 anni di carcere, ma una volta in Senato, una forte opposizione si è alzata, motivandola che si poteva incorrere in “anticostituzionalità” in quanto una pena simile era già applicata per altro reato (associazione a delinquere di stampo mafioso). Inoltre il testo si prestava ad interpretazioni tali da compromettere anche cittadini all’oscuro di “trattare con mafiosi”.

Quindi, se da una parte siamo contenti che la legge sia stata approvata, resta ancora qualcosa da migliorare, da qui la campagna di RIPARTE IL FUTURO

SOSTENIAMO QUESTA CAMPAGNA FIRMANDO

http://www.riparteilfuturo.it/la-riforma-del-416ter-e-legge-una-buona-notizia-con-un-errore-da-correggere/

PROCESSO STATO-MAFIA

Sono mesi ormai che si “parla” e si porta avanti un’inchiesta importantissima che ha lo scopo di portare alla luce eventuali responsabilità di ELEMENTI dello stato collegati, collusi o comunque coinvolti in RAPPORTI con la MAFIA.

Perchè questo è importante? Ricordo all’epoca del rapimento Moro, che i politici continuavano a dire “LO STATO NON PUO’ PERMETTERSI DI TRATTARE CON I MALVIVENTI….”

Ebbene, come possibile allora che alcuni “elementi” si lasciano coinvolgere, non solo “RICATTARE” ma patteggiare, concludere AFFARI ( anche di stato) con questi soggetti mafiosi.

Oggi che questo processo è stato avviato, oggi che si parla di di CHI POTREBBE ESSERE COINVOLTO, alcuni BOSS, vedi TOTO RIINA, non solo minaccia ma fa trapelare informazioni che portano a concludere che il “PRESUPPOSTO” e quanto mai reale.

Eccovi un articolo da IL FATTO QUOTIDIANO che riassume quanto detto e le ultime MINACCE DEL BOSS.

nino-di-matteo-pm“Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Il boss Totò Riina da mesi minaccia il pm di PalermoNino di Matteo. E da mesi il padrino di Corleone, detenuto al 41bis, intercettato fa arrivare i suoi ordini di morte dal carcere. Il magistrato, tra l’altro pubblica accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è già sottoposto a un livello eccezionale di protezione. Il boss usa le stesse parole che in un’altra intercettazione aveva usato per i magistrati Falcone e Chinnici: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. Nelle conversazioni inedite, depositate agli atti del processo, il boss dice anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non deve andare a testimoniare al processo in corso a Palermo. I magistrati di Palermo sono preoccupati perché alcune notizie in possesso di Riina il 14 novembre 2013 non erano ancora state pubblicate sui giornali.

Le informazioni inedite: “Riina conosce notizie mai pubblicate”. C’è preoccupazione in Procura a Palermo perché notizie mai uscite sui giornali sono a conoscenza di Riina e Lorusso. È il 14 novembre del 2013 e gli inquirenti trascrivono l’ennesima intercettazione captata nel cortile del carcere Opera. Quando la notizia delle minacce di Riina al pm Antonino Di Matteo era finita sui giornali, i magistrati decisero di presentarsi in massa in Tribunale per manifestare ai pm del processo per la trattativa tra Stato e mafia la loro solidarietà. Ma la decisione non era stata ancora ufficializzata né era finita sui giornali o in tv e se n’era parlato soltanto via mail tra pm e poche persone. Così è Lorusso ad avvisare il 14 novembre scorso Riina: “…hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pubblici ministeri all’udienza… saranno presenti tutti”. E Riina annuisce: “Ah tutti”. Ma la notizia era circolata solo sulla mailing list interna al Palazzo di giustizia.

Il boss a un esponente della Scu: “Organizziamola questa cosa”. Le nuove minacce risalgono al 16 novembre 2013. Sono le 9.30 e il boss parla ancora con il boss della Sacra Corona UnitaAlberto Lorusso durante l’ora della cosiddetta “socialità” nel carcere milanese di Opera. Mentre Riina dice “organizziamola questa cosa”, tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta, come scrivono gli uomini nella Dia nell’intercettazione depositata questo pomeriggio dai pm nel processo per la trattativa. Riina dimostra di non avere paura di Di Matteo: “Vedi, vedi – dice – si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…”. Poi sul progetto di attentato: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari”. E parla del fallito attentato al vicequestore Rino Germanà, nel trapanese. Il poliziotto si salvò solo perché si era gettato in mare mentre il boss Bagarella gli sparava. Era il 14 settembre del 1992, pochi mesi dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio: “Partivamo la mattina da Palermo a Mazara. C’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo… Era pomeriggio, tutti i giorni andare e venire, da Mazara. A chi hanno fatto spaventare, a nessuno, che poi quello si è buttato a mare. Loro facevano avanti a indietro e gliel’hanno fatta là a Germanà”. “Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica” aveva detto Riina a un esponente della Sacra Corona Unita con cui condivideva l’ora d’aria il 14 novembre dell’anno scorso. Al mafioso pugliese che gli chiedeva come avrebbe fatto ad eliminarlo se l’avessero portato in una località riservata, Riina avrebbe risposto: “Tanto sempre al processo deve venire“. E per questo il magistrato non aveva presenziato all’udienza che si è tenuta a Milano l’11 dicembre scorso quando è stato sentito Giovanni Brusca. In una intervista al Fatto Quotidiano il pm lanciava l’allarme sulla sua vita: “Ha ordinato di uccidermi”.

“Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”dice Riina parlando di Di Matteo con il pugliese. “Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”, aggiunge. ”Mi viene una rabbia, ma perché questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti … ammazzarli, proprio andarci armati e vedere … Si ingalluzziscono, proprio si ingalluzziscono… perché c’è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno ‘strumentio’ (strumentalizzazione ndr) completamente e le persone sono con loro…”. Il boss, parlando sempre con Lo Russo, ricorda sorridendo la strage in cui fu ucciso il giudice Rocco Chinnici, saltato in aria per l’esplosione di un’autobomba il 29 luglio del 1983. Il capomafia assistette da lontano un commando di killer di Cosa nostra, che sbalzò in aria il magistrato facendolo poi ricadere a terra: “Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il Procuratore Generale di Palermo … Per un paio d’annimi sono divertito. Minchia che gli ho combinato“. E ancora “dobbiamo prendere un provvedimento per voialtri – dice Riina come se parlasse ai magistrati -, uno che vi fa ballare la samba così che vi fa salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche”. “Se io restavo sempre fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello” dice Riina. “Minchia, eravamo tutti mafiosi… i capimafia… Totò Riina non li faceva passare…” dice parlando in terza persona.

“Il Presidente non deve testimoniare al processo”. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “non deve testimoniare al processo per la trattativa tra Stato e mafia” risponde il capomafia a Lo Russo che a Riina dice che in televisione sono in tanti i politici a stigmatizzare la richiesta della Procura di ascoltare in aula il Presidente Napolitano. Lo Russo cita anche il vice presidente del Csm Michele Vietti e altri politici, concordi nel ritenere inopportuna la testimonianza di Napolitano. Riina dice: “Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo”. E Lo Russo ribatte: “Sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare”. Riina dice: “Io penso che qualcosa si è rotto…”. E parlando del pm Nino Di Matteo: “Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. È un disgraziato… minchia è intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani… ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende…”.

Riina su Messina Denaro: “Pensa solo a se stesso…”. Il padrino di Corleone parla anche del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. In una intercettazione ambientale, fatta dagli investigatori lo scorso 30 ottobre Riina si lamenta: “A me dispiace dirlo questo signor Messina” che per gli inquirenti è Messina Denaro, “questo che fa il latitante che fa questi pali … questi palo eolici… i pali della luce”. E Lo Russo, di rimando, gli dice: “Pensa solo a se stesso… pazienza”. Riina replica: “No, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi, ma non si si interessa di…”. Insomma, secondo il boss Rina, Messina Denaro si interesserebbe solo agli affari con l’energia eolica e non dei ‘bisogni’ di Cosa nostra. Riina ricorda: “Ah, se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre era un bravo cristiano, u zu Ciccio era di Castelvetrano, però… e devo dire la verità ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un cristiano, un orologio, lo chiamavo ‘u rugiteddù. Questo qua, questo figlio lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta, si è messo a fare luce e… tutti i posti a fare luce. Che vuoi, fanno altre persone e a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare“.

E Riina cita Sciascia e i professionisti dell’Antimafia. C’è spazio anche per la citazione dello scrittore Leonardo Sciascia e i suoi professionisti dell’Antimafia citati in un ormai famoso articolo pubblicato il 10 gennaio del 1987, nei colloqui tra Riina e il compagno d’ora d’aria. I due parlano dei magistrati criticando aspremente il loro operato. “Lui (Sciascia ndr) – dice il pugliese – gli diceva la verità, lui era uno di quelli che teneva il coraggio di parlare…”. E Riina: “Minchia, ma quello era tremendo, lui sembrava un mafioso vero, ma poi quello era una persona studiosa, una persona…”.  E l’altro: “Una persona studiosa e onesta”. Riina: “onesta, onesta”. Il pugliese: “… che non si faceva intimorire dai magistrati, che non si faceva intimorire e li chiamava i professionisti dell’antimafia”. Riina ribatte con forza: “Minchia, così sono professionisti dell’antimafia, tanto professionisti che a questi non li poteva vedere, questi li aveva come ‘l’uva da appendere’, ma sempre li attaccava, sempre dalla mattina alla sera, perché vedeva quello che facevano, ci constatava, lo constatava lui, però l’Italia è fatta così…”

Processo Stato-Mafia, il pentito: “L’omicidio Dalla Chiesa fatto da Craxi e Andreotti”

È un fiume in piena Francesco Onorato, collaboratore di giustizia e oggi testimone nell’aula bunker del carcere Ucciardone. Parla di Claudio Martelli e dell’omicidio Lima: “Trattativa? Ma quale Trattativa? Io ho visto solo la convivenza tra politica, Stato e mafia”

L’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa? “Lo hanno fatto i signori Craxi e Andreotti, che si sentivano il fiato addosso”. Claudio Martelli? “Cosa Nostra lo finanziò con 200 milioni per farlo diventare Guardasigilli”. Salvo Lima? “Il primo nome nella lista dei politici da eliminare, insieme a Giulio Andreotti, Calogero Mannino e Carlo Vizzini”. Il gruppo di fuoco della commissione di Cosa Nostra? “Farne parte era come giocare nella Nazionale di calcio”.

È un fiume in piena Francesco Onorato, collaboratore di giustizia e oggi testimone del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, in corso a Palermo all’aula bunker del carcere Ucciardone. Il boss aveva cercato di rinviare la sua testimonianza “perché – ha spiegato – non mi sento pronto moralmente e psicologicamente. A causa di un infortunio a mia moglie”. Pochi attimi dopo, però, ci ha ripensato aprendo a giudici e avvocati il libro dei ricordi tra morti ammazzati e rapporti a cavallo tra mafia e istituzioni. Una trentina di omicidi sul groppone, un passato da killer micidiale agli ordini di Saro Riccobono prima, e di Totò Riina poi, Onorato ha spiegato che “fare parte del gruppo di fuoco della Commissione di Cosa nostra era come fare parte della Nazionale di calcio: ci entravano persone con capacità particolari”.

Il 12 marzo del 1992 è suo l’indice che a Mondello preme il grilletto in via Danae: nel mirino c’è la chioma bianca dell’europarlamentare democristiano Salvo Lima, primo politico da eliminare dopo le promesse fatte a Cosa Nostra, e poi non mantenute, sull’annullamento delle sentenze del Maxi processo, divenuto definitivo poche settimane prima. “Non ho fatto l’omicidio Lima perché era nel mio territorio – ha raccontato il pentito collegato in videoconferenza – ma era fuori dal mio territorio, dovevo partecipare anche all’attentato poi fallito del commissario di Polizia Rino Germanà, ma poi ci andò Leoluca Bagarella”.

L’omicidio di Salvo Lima è il primo atto di guerra che Riina rivolge allo Stato, primo pezzo della lunga catena che poi porterà le istituzioni a trattare con la piovra. “I primi politici da eliminare – ha raccontato Onorato – erano Salvo Lima e Giulio Andreotti. Ma c’erano anche Calogero Mannino, Vizzini, i cugini Salvo, Claudio Martelli, Ferruzzi e Gardini”. Secondo il collaboratore di giustizia lo stesso Martelli in passato avrebbe avuto contatti con le cosche. “Io da reggente della famiglia di Partanna Mondello, tra il 1987 e il 1988 presi 200 milioni per finanziare Claudio Martelli perché si diceva che faceva uscire i mafiosi dal carcere: l’abbiamo fatto diventare ministro della Giustizia”. Ed è proprio sui rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato in tempi di stragi che Onorato ha concentrato la sua testimonianza. “Perché Riina accusa sempre lo Stato? – ha spiegato il collaboratore – Perché è l’unico che sta pagando il conto, mentre lo Stato non sta pagando niente, per questo motivo Riina tira in ballo sempre lo Stato. Ha ragione ad accusare lo Stato, da Violante ad altri. È lo Stato che manovra, prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Perché Dalla Chiesa non dava fastidio a Cosa Nostra Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato”. Paradigmatica anche la considerazione che l’ex killer dei corleonesi ha fatto sull’oggetto principale del processo. “Trattativa? Ma quale Trattativa? Io ho visto solo la convivenza tra politica, Stato e mafia”.

Fonte:il FATTO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pipitone | 7 novembre 2013

Stragi: per i pm ha un nome “Faccia da mostro”, cerniera tra Stato e mafia

Secondo la Procura di Caltanissetta sarebbe Giovanni Aiello, un ex agente ora in pensione, l’uomo dal volto deformato che sarebbe stato presente a Capaci e avrebbe avuto un ruolo in altri delitti rimasti irrisolti. Con in tasca la tessera dei servizi segreti

di Giuseppe Pipitone | 8 ottobre 2013

attentato Falcone

Ha percorso come un’ombra tutta la Palermo delle stragi, per poi scomparire definitivamente, lasciando traccia di sé soltanto dentro ai verbali di collaboratori e testimoni. È stato indicato come un fantasma, un uomo taciturno con la faccia butterata, orribile, mostruosa, sempre presente quando c’era una strage da fare, un eccidio in cui si dovevano coprire le tracce per sottrarre dalla scena ogni possibile indizio rivelatore. Adesso “Faccia da Mostro“, il killer con tesserino dei servizi in tasca, che sullo sfondo di ogni strage agiva da uomo cerniera tra Cosa Nostra e Stato, sembra aver recuperato un nome, dopo essere quasi svanito dalle inchieste. Faccia da Mostro invece esiste, non è un’invenzione, e la sua identità sarebbe quella di un ex dirigente di polizia in pensione, con il volto sfigurato a causa dell’accidentale esplosione di un’arma da fuoco: il suo nome, secondo la Procura di Caltanissetta, è Giovanni Aiello.

Identità già nota alla Procura, quella di Aiello, che lo aveva iscritto nel registro degli indagati, per poi chiederne ed ottenerne l’archiviazione nel dicembre del 2012. Adesso però sono arrivati nuovi elementi e la procura nissena ha nuovamente stretto il cerchio sul nome di Aiello, che è ritornato al centro delle indagini dei pm guidati da Sergio Lari. Pochi mesi fa, a fare il nome di Aiello davanti ai colleghi di via Giulia, era stato il procuratore aggiunto della Direzione Nazionale Antimafia Gianfranco Donadio, incaricato dall’ex procuratore nazionale Piero Grasso di seguire le indagini sulle stragi. Donadio ha dunque recuperato alcune testimonianze di collaboratori di giustizia, che indicavano in Aiello l’uomo con la faccia butterata operativo a cavallo delle stragi che insanguinarono l’Italia tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90.

Il primo a fare il nome di Aiello era stato il pentito Vito Lo Forte, la cui testimonianza però è ancora oggi tutta da riscontrare. A parlare di Faccia da Mostro era stato anche Luigi Ilardo, il boss nisseno infiltrato dai Carabinieri al seguito di Bernardo Provenzano e poi misteriosamente ucciso nel 1996. “Noi – disse Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio – sapevamo che c’era un agente a Palermo che faceva cose strane e si trovava sempre in posti strani. Aveva la faccia da mostro. Siamo venuti a sapere che era anche nei pressi di Villagrazia quando uccisero il poliziotto Agostino”. Ed è proprio a Villagrazia di Carini che Faccia da Mostro fa per la prima volta il suo ingresso sulla scena: pochi giorni prima dell’omicidio del poliziotto Nino Agostino, il il 5 agosto del 1990, un uomo con il volto deturpato andò a bussare a casa sua: “Era un uomo con i capelli biondi, dal viso orribilmente butterato” ha raccontato Vincenzo Agostino, padre del poliziotto ucciso, di cui oggi non si conoscono ancora gli assassini.

Tracce di Faccia da Mostro però si trovano anche oltre lo Stretto: l’ultimo collaboratore a fare il nome del misterioso killer di Stato è infatti un calabrese affiliato alla ‘Ndrangheta, si chiama Nino Lo Giudice, è soprannominato il Nano, e fino a pochi mesi fa era un collaboratore di giustizia. Prima di ritrattare quanto raccontato, accusando i magistrati che lo avevano interrogato di “drogare” le sue dichiarazioni, il Nano aveva fatto cenno a Faccia da Mostro, individuandolo in Aiello, e aggiungendo che “agiva sempre con una donna, una tale Antonella: tutti e due facevano parte a servizi deviati dello Stato e la donna era stata ad Alghero in una base militare dove la fecero addestrare per commettere attentati e omicidi”. Nel giugno scorso però Lo Giudice ha ritrattato le sue dichiarazioni, rendendosi latitante.

C’è un altro uomo che però indica in una donna la partner dell’orrore di Faccia da Mostro: è Giuseppe Maria Di Giacomo, esperto killer del clan catanese dei Laudani. Piste, ipotesi, spifferi, testimonianze ancora oggi tutte al vaglio degli inquirenti, che in queste ore, oltre ad indagare su Aiello, lavorano per capire chi sarebbe la tale Antonella citata da Lo Giudice, addestrata dai servizi per diventare una sorta di killer di Stato.

Agli atti della procura di Caltanissetta però adesso c’è anche un altro verbale che allarga il quadro delle indagini: quello del collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera. L’uomo che il 23 maggio del 1992 avvisò i killer di Giovanni Falcone dell’arrivo delle auto blindate dall’aeroporto, ha fatto per la prima volta cenno ad una presenza estranea a Cosa Nostra nelle fasi preparatorie del botto di Capaci: quando i boss si erano riuniti per collegare le singole cariche d’esplosivo che avrebbero ucciso Falcone, tra loro c’era anche un uomo estraneo all’organizzazione, sconosciuto al livello operativo di Cosa Nostra che parlava “soltanto a bassa voce”.

Dichiarazioni che per la prima volta suggeriscono una compartecipazione estranea a Cosa Nostra per l’assassinio di Falcone, ma operativa nelle fasi finali dell’attentato, e che somigliano molto a quelle rese da Gaspare Spatuzza sull’eliminazione di Paolo Borsellino, avvenuta 57 giorni dopo la strage di Capaci. “Mentre veniva imbottita di esplosivo la Fiat 126 nel garage tra noi c’era uno elegante, biondino, mai visto prima, parlava con Gaetano Scotto” ha raccontato il collaboratore ricostruendo la fase preparatoria della strage di via d’Amelio. L’interrogativo è inevitabile: l’uomo che partecipa con i boss alla preparazione della strage di via d’Amelio è lo stesso notato da La Barbera nei giorni precedenti al botto di Capaci ? E a che titolo partecipa alla strage? È quell’uomo è sempre Faccia da Mostro?

C’è un piccolo sacchetto di carta, di quelli utilizzati dalle farmacie, che viene ritrovato subito dopo la strage di Capaci ad appena 63 metri di distanza dall’enorme cratere che squarcia l’autostrada. Sopra il sacchetto, come se fossero stati spostati dall’esplosione, vengono ritrovati un guanto di lattice, del mastice adesivo e una torcia: tutta roba probabilmente utilizzata nelle fasi preparatorie della strage, quando gli attentatori riempiono il ventre dell’autostrada con fusti pieni d’esplosivo trascinati sotto l’asfalto grazie ad alcuni skateboard.

All’epoca della strage era impossibile rilevare le impronte digitali dal guanto di lattice: oggi, però, la tecnologia permette di ricostruirle anche da una particella di impronta papillare. È a questo che stanno lavorando i consulenti nominati dalla Caltanissetta: sul guanto di lattice è infatti stata riscontrata la presenza di frammenti di Dna, che già dopo le prime analisi sembra avere una struttura abbastanza rara, non troppo diffusa. L’uomo che usò quel guanto più di vent’anni fa ha, quindi, lasciato una firma indelebile sul luogo della strage: per capire se si tratta di un killer ancora sconosciuto bisognerà solo aspettare la fine degli accertamenti, quando quel frammento di Dna sarà paragonato a quello dei boss che facevano parte del commando che uccise Falcone. E tra loro potrebbe esserci stato sempre lui: l’uomo delle stragi impunite, con un tesserino dei servizi in tasca e una faccia orribile, da mostro.