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MANIFESTO ANTIMAFIA

Stupendo pomeriggio di formazione ieri alla Certosa 1515 ad Avigliana.

Con gli amici dei presidi Bassa Val Susa, Val Sangone , Beinasco e Biella, si è “scavato ” e DIGERITO il libro di Nando Della Chiesa “MANIFESTO ANTIMAFIA”.

Si è potuto fare in modo agevole anche grazie alle “slide” preparate da Domenico del Presidio Libera Biella e dalla presentazione di Luisa.

Belle le esortazioni a non CEDERE ma sforzarsi di DIFFONDERE CON CONSAPEVOLEZZA L’ANTIMAFIA.

Manifestoantimafia

http://ita.calameo.com/read/003420203f0cc62514e8d

(all’indirizzo sopra, una visione delle slide)

NUOVA SVOLTA AL PROCESSO MINOTAURO

Al processo Minotauro parla l’ex affiliato della ’ndrangheta ora collaboratore di giustizia

Il racconto di Nicodemo Ciccia da una località segreta

Mangiavano pane e bevevano champagne, giuravano su Osso Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri spagnoli, incidevano una ferita sulle dita con un coltellino o una lametta, tenevano in mano santini che bruciavano, spacciavano droga, sognavano di prendersi tutto il Piemonte. Eccolo il primo pezzo del racconto del nuovo pentito di ‘ndrangheta Nicodemo Ciccia, 43 anni, ex affiliato al locale di Cuorgnè, che un anno e tre mesi fa ha deciso di collaborare con la giustizia e vuotare il sacco con il sostit
uto procuratore Roberto Sparagna, il magistrato titolare di quasi tutti i processi in corso contro la mala calabrese sotto la Mole.

L’inizio: la droga  

Stamattina, ore 9, Appello del processo Minotauro, babele di accuse contro i clan calabresi insediati in Piemonte, Ciccia si è collegato da una località protetta. Felpa blu, capelli corti, mani conserte su una scrivania grigio chiara. Ha parlato per tre ore concentrando il primo dei tre interventi previsti sulla sua carriera criminale nell’associazione mafiosa. Dagli mafie-al-nord-300x178esordi al pentimento, ha ripercorso una scalata fulminea ai vertici dell’onorata società con l’ingresso nella ‘ndrangheta nel 2005 e l’arrivo all’altissima dote di Vangelo (uno dei gradi apicali dell’organizzazione) in soli tre anni. La seduta è stata aggiornata a lunedì e mercoledì prossimi. E’ lì che si disvelerà il papiro di conoscenze di quest’uomo originario di Mammola (Reggio Calabria), arrivato in Piemonte a 17 anni e finito presto a lavorare nel settore più redditizio della criminalità organizzata al Nord e nel mondo: la droga. Parlerà di politica? Nei verbali depositati ha già dato un ampio assaggio. Dovrà ripeterlo in aula la prossima settimana.

Ma torniamo agli esordi, all’eroina. «All’inizio la compravamo dagli Agresta di Volpiano. Un chilo o mezzo chilo per volta. Io lavoravo insieme ad altri, un tale Loccisano mi aveva iniziato al mercato degli stupefacenti. Poi mi arrestarono. Fui condannato a 8 anni, ma ne scontai solo due, Ero incensurato, me la cavai con poco. Quando uscii, provai a lavorare onestamente in una fabbrica di mio zio».

L’ingresso nella ‘ndrangheta  

Il tentativo di redenzione durò qualche mese: «Tornai a frequentare sempre gli stessi giri, le vecchie persone. Fui di nuovo arrestato e rinchiuso nel carcere di Saluzzo». Lì fu iniziato alla ‘ndrangheta che era dunque una sorta di approdo naturale. Prima di farlo giurare «sui tre cavalieri spagnoli e su Garibaldi, Mazzini e La Marmora», succede qualcosa che in carcere non dovrebbe succedere. Dal penitenziario di Saluzzo fu inviata una lettera in cui si parlava di «doti» e «fiori» da regalare a Ciccia che viaggiò indisturbata fino al carcere di Ivrea in cui era detenuto Bruno Iaria, l’uomo più influente, allora, dei calabresi del basso Canavese. In quella missiva, I padrini di Ciccia (tecnicamente la sua «copiata») fecero a Iaria il nome di un altro grande boss della costa Jonica, gli chiesero una sorta di lascia passare al reclutamento della nuova leva, Ciccia, appunto. “Lui rispose che non c’erano problemi». Si riunirono in una cella del carcere: «Eravamo in quattro, mancava una persona, misero un fazzoletto bianco sulla sedia vuota e mi incisero il dito con una lametta». Saranno stati i nomi grossi tirati in ballo o forse il fatto che Ciccia era già allora «uomo d’azione» molto utile alla consorteria, certo è che Ciccia, detto Nicareddu, entrò in pompa magna nella squadra e quindi nel locale di Cuorgnè «che è un distaccamento di Mammola». In un colpo solo prese le doti di picciotto e sgarrista, fatto molto raro nella storia della mafia ma non unico (era già successo all’altro pentito di Minotauro Rocco Varacalli), forse giustificato dal tenore dei personaggi che lo avevano «raccomandato».

La scalata nella gerarchia mafiosa

Due anni dopo arrivò la Santa che è il livello che fa da spartiacque tra la società Minore e quella Maggiore, una sorta di passepartout per il gotha dell’organizzazione. Per il mondo dei grandi. Il rito fu celebrato nella tavernetta della casa di Bruno Iaria che – per inciso – di Ciccia aveva una grande stima: “Pronunciammo le formule e festeggiammo”. La presidente della Corte incalza: “E cosa avete mangiato e bevuto?”. Lui, lapidario: “Pane e champagne”. Non ricorda a memoria la formula che gli fecero recitare, gli avvocati degli imputati rumoreggiano come a sottolineare un handicap di credibilità. Nelle gabbie i detenuti sorridono, la presidente della Corte li zittisce: “Non colgo quale sia l’ilarità del momento”. In aula ripiomba il silenzio e la voce del pentito che rimbomba nei sotterranei di Palazzo di Giustizia. Si ricomincia. Nel 2008 Ciccia scala ancora nella gerarchia mafiosa e acquisisce la dote di Vangelo. Accade al bar Italia di via Veglia, ex quartiere generale della ‘ndrangheta torinese e oggi simbolo della legalità gestito dalla cooperativa Nanà in capo a Libera. 

«C’era Giuseppe Catalano (il capo dei capi del Piemonte, morto suicida ormai tre anni fa), suo figlio Cosimo (anche lui morto suicida un anno dopo il padre), Francesco D’Onofrio, Fortunato Currà, Giuseppe Gioffrè (capo locale di Settimo Torinese ucciso in un agguato in Calabria a Bovalino il 28 dicembre 2008)) e tanti altri. In quell’occasione diedero la dote anche a Luigi Cincinnato». Il pm Sparagna si alza e chiede precisazioni: «Chi ha pagato il pranzo?». Replica: «Io e Cincinnato, circa 300 euro a testa». Ma lei aveva invitato qualcuno? «No gli inviti li hanno fatti Catalano e Bruno Iaria». Contro replica del pm: «In sostanza lei ha pagato il pranzo per festeggiare ma non ha deciso nemmeno se invitare una delle tante persone presenti». No. Lunedì, dalle 14 in poi, si ricomincia.

GIUSEPPE LEGATO

La ’Ndrangheta alla sbarra, chiesti quattro secoli di carcere

Processo Minotauro

“Minotauro” e “Colpo di Coda”, mano pesante del pg.

Due durissimi colpi alla ’ndrangheta dislocata in Piemonte sono stati inflitti ieri mattina nelle aule del tribunale di Torino nell’ambito dei procedimenti Minotauro e Colpo di Coda.
La maxi inchiesta dei carabinieri e della Dda, culminata nella notte dell’8 giugno 2011 con 153 arresti, è arrivata all’appello con rito abbreviato e le richieste di condanna ricalcano le sentenze di primo grado. L’operazione invece che ha interessato i «locali» di Chivasso e Livorno Ferraris è giunta alle prime, pesantissime, condanne coi riti cosiddetti speciali.
Quattrocento anni di carcere. Li ha chiesti ieri il pg Elena Daloiso nel processo di appello Minotauro che vede sul banco degli imputati 62 persone, quasi tutte accusate di 416 bis. È la conferma dell’impostazione dei pm (Sparagna, Abbatecola, Arnaldi di Balme, Tibone, Castellani e Malagnino) che misero in piedi il grattacielo di contestazioni agli affiliati dei locali di ’ndrangheta, e delle condanne di primo grado.
Nelle maglie di questa porzione di processo è finita soprattutto la struttura denominata «Crimine», organismo deputato alle azioni violente (estorsioni, omicidi, bombe) della mala calabrese che annovera tra i suoi ranghi personaggi di indubbio spessore malavitoso: dai fratelli Adolfo e Cosimo Crea (rispettivamente 12 e 2 mesi e 10 anni e 10 mesi) e ai loro sodali più stretti.
Ci sono anche però personaggi di elevata caratura criminale come Giuseppe Fazari, Antonio Agresta, Bruno Iaria (13 anni e sei mesi) e Giovanni Iaria (deceduto in carcere a febbraio 2013) e numerosi capi di locali distaccati in provincia. Solo per alcuni di loro – tre su un totale di 62 imputati – il pg ha chiesto una lieve riduzione di pena.

La coda del Minotauro
L’impianto accusatorio ha retto bene anche nell’abbreviato di Colpo di Coda, appendice dell’operazione Minotauro che ha scoperchiato affari e strutture dei due locali di Chivasso e Livorno Ferraris. Le manette erano scattate esattamente un anno fa (22 ottobre 2012). In carcere erano finite 19 persone. Ieri le prime maxi condanne: Salvatore Cavallaro 10 anni e otto mesi, Antonino Fotia 6 anni, Beniamino Gallone 7 anni e 4 mesi, Gaetano Lo Monaco 5 anni, Mario Tonino Maiolo 6 anni e 8 mesi, Pasquale Maiolo 10 anni e 8 mesi. Due imputati hanno patteggiato, gli undici rimanenti sono stati rinviati a giudizio e si preparano ad affrontare il processo con rito ordinario.

Ottimismo in Procura
È chiaro che alla luce di queste ultime novità processuali, ci sia grande soddisfazione in Procura. E – allo stesso tempo – cresca l’ottimismo per l’appello del procedimento Alba Chiara, incentrato sulla presenza della ’ndrangheta nel Basso Piemonte, che si è chiuso mesi fa con un coro di assoluzioni. La Procura vuole riaprire la partita. E già la Corte d’Appello, in un ricorso contro alcuni sequestri di beni di imputati in quel procedimento, ha ritenuto che fossero validi e ci fossero tutti gli estremi dell’associazione mafiosa.