3 anni e 6 mesi di carcere per don Nuccio Cannizzaro…NULLA DI FATTO

Reggio Calabria, fuochi d’artificio per festeggiare la prescrizione di un sacerdote in un processo di ‘ndrangheta

Per il tribunale l’accusa rivolta a don Nuccio Cannizzaro, per aver dichiarato il falso a vantaggio del presunto boss Santo Crucitti è prescritto, il prete non può essere punito. Ieri a Condera, quartiere della periferia nord di Reggio Calabria, in tanti hanno avuto ragione di festeggiare la sentenza. Infatti il processo “Raccordo-Sistema” – con alla sbarra oltre che il parroco anche presunti boss e affiliati della ‘ndrangheta – è praticamente crollato nella sua interezza.

Possiamo dire che insieme all’accusa è venuta meno la speranza che la GIUSTIZIA possa essere portata alla luce, che i giusti possano essere RISCATTATI.

CHI E’ DON NUCCIO ?

don nuccio

Don Nuccio è un sacerdote che serviva (ORA NON SERVE PIU’ ) a Condera, una “borgata, ” una Frazione di Reggio Calabria. Inoltre rivestiva l’incarico di CERIMONIRE DEL VESCOVO stesso, ma che sosteneva  e fa parte di un altro SISTEMA, quello che il procuratore definisce “Raccordo-Sistema” . Espressione di un sistema di potere che «in virtù delle relazioni che ha con politici, forze dell’ordine e uomini della istituzioni, come magistrati» – tuona in aula il pm – interviene a Condera a tutela di un altro sistema di potere, quello ‘ndranghetistico imposto dal boss Santo Crucitti. E proprio per quest’ultimo il sostituto procuratore della Dda reggina ha chiesto una condanna a 24 anni di carcere. Altrettanto severa la richiesta avanzata dal pm a carico di Francesco Gullì, ex direttore della filiale reggina della Banca Popolare di Lodi, da condannare per la pubblica accusa a 12 anni di reclusione, perché responsabile di aver permesso a Crucitti di operare una fitta serie di operazioni economiche e finanziarie necessarie per gli affari della “Planet Food”, la ditta attiva nel settore della grande distribuzione cittadina di cui Crucitti sarebbe stato il “dominus” occulto. Sono invece dieci gli anni di carcere chiesti per il nipote del boss, Antonio Gennaro Crucitti, nipote di Santo, mentre è di tre anni la condanna invocata per Michele Crudo, Carmine Polimeni e Domenico Polimeni. Due anni e quattro mesi sono stati chiesti invece per Consolato Marcianò, mentre è di due anni la pena richiesta per Nicola Pellicanò. Al centro del lungo dibattimento, scaturito dall’inchiesta coordinata dal pm Musolino, non è finita semplicemente l’ordinaria vessazione imposta dal clan Crucitti, su mandato dei Condello-De Stefano-Tegano, sul periferico quartiere di Condera, ma anche – se non soprattutto – la travagliata vicenda del testimone di giustizia Tiberio Bentivoglio, “reo” di aver costituito un’associazione, la Harmos, che sarebbe entrata in competizione con quella dell’ex assessore comunale Pasquale Morisani, Evelita, come con quella dello stesso don Nuccio, la Laos, entrambe nel tempo beneficiate – è emerso dal dibattimento – da generose commesse e finanziamenti pubblici. E proprio a tutela di questo sistema don Nuccio Cannizzaro sarebbe intervenuto, fornendo allo storico difensore del boss Crucitti false dichiarazioni che lo avrebbero messo in salvo dalle precise denunce di Bentivoglio. Dal boss Crucitti sarebbero arrivate invece ben più concrete minacce. Addirittura preventive. La prima intimidazione giunge infatti ancor prima che l’associazione venga costituita. Oggetto delle attenzioni di Crucitti, uno dei soci fondatori della Harmos, che terrorizzato riferirà dell’interesse del boss per la nuova realtà, che – all’epoca – non esisteva se non nelle intenzioni dei soci e nelle confidenze che questi avevano fatto al sacerdote. Una curiosa coincidenza che solo più tardi i fondatori della Harmos potranno comprendere fino in fondo, tanto che paradossalmente si rivolgeranno proprio a don Nuccio – la cui parrocchia era frequentata da Giuseppe Romeo, personaggio ritenuto vicino al clan – per assicurare al boss che la nuova realtà associativa non avrebbe dato alcun fastidio, riferisce Bentivoglio. Solo all’indomani dell’attentato subìto da Bentivoglio, titolare della Sanitaria Sant’Elia semi-distrutta in un incendio, l’uomo inizierà ad essere assalito dai primi sospetti. Interrogato dal pm Mario Andrigo si sentirà infatti chiedere lumi su un maxi-finanziamento che la parrocchia di Condera avrebbe ricevuto da Alberto Sarra per finanziare la ristrutturazione, così come sul ruolo di Crucitti, del suo sodale Giuseppe Romeo e di Pasquale Morisani, all’epoca solo rampante politico reggino. Una rivelazione che fa il paio con la velata minaccia che – ha riferito in aula nel corso del dibattimento – avrebbe ricevuto poco dopo sua moglie e che sarebbe arrivata direttamente dal sacerdote. «Avevamo in programma due eventi, una sfilata di moda e un evento di folclore. Era tutto pronto quando don Nuccio incontra mia moglie e le chiede di parlarle. È stato allora che le ha detto – ha sottolineato all’epoca Bentivoglio, ricordando le parole del sacerdote –: “Non lo capite che dovete smettere. Cosa vuoi, che ti bruciano il locale di nuovo?”». Parole esplicite che avrebbero pietrificato la donna e indotto i soci dell’associazione a paralizzare definitivamente ogni attività. Una cartina di tornasole per Bentivoglio che solo allora – ha sostenuto – inizia a pensare che i gravi attentati di cui nel tempo è stato vittima, possano essere riconducibili all’attività dell’associazione. Una realtà che avrebbe potuto far concorrenza – è emerso in istruttoria – tanto alla Laos del sacerdote, come alla Evelita, gestita dall’ex assessore comunale, Morisani, che nel quartiere ha storicamente il proprio zoccolo duro. Una realtà, dunque, scomoda. E da ostacolare ad ogni costo.

Un resoconto molto abbreviato di quanto abbia vissuto Tiberio Bentivoglio per mano e per COLPA di questi protagonisti, possiamo leggerlo nel libro….

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