TIBERIO BENTIVOGLIO

Locandina invito

LIBERA VALSANGONE  è lieta di invitarvi all’incontro con TIBERIO BENTIVOGLIO, un moderno EROE che da ventanni si oppone a chi lo vuol privare della sua libertà, imponendo in in territorio martoriato un clima di sudditanza e omertà: LA ‘NDRANGHETA!

Di lui Nando della Chiesa scrive:

 “Non ci crederete. Ma il suo biglietto da visita è lo sguardo. Un lampo mite che si accende nel sole vespertino di Reggio Calabria. Che ti annuncia qualcosa di speciale prima ancora che un amico ti prenda da parte e ti racconti la sua storia da leggenda. Perché Tiberio Bentivoglio è davvero un uomo, un imprenditore speciale. Che per non pagare il pizzo ha tenuto testa alla ‘ndrangheta reggina per vent’anni sfidando scogli e ciclopi e traditori come un Ulisse moderno, navigando su una zattera tutta sua tra pavidità di funzionari pubblici o di preti in odore di antimafia.

Non avrebbe certo immaginato questo destino negli anni Settanta, quando gli venne in mente di aprire un negozio di articoli sanitari, piccola impresa da seguire con la moglie Vincenza e pochi collaboratori. Non lo immaginò senz’altro nel giorno della grande festa, il 25 aprile del 1992: quando, felice per i suoi successi, fece il grande passo e aprì un vero emporio sanitario, 450 metri quadri con un grappolo di dipendenti.

È allora che i corvi arrivano infatti a posarsi su di lui e sul suo lavoro. Il primo grande furto lo subisce già in luglio. Poi, negli anni, ne arrivano altri. Nel ’98 c’è il salto di qualità, giusto per chiarire che si tratta di pizzo: viene dato alle fiamme il furgone della sanitaria. Ma nessuno indaga, nessuno lo interroga.

In compenso si fanno vive la banche. Deve rientrare dalla scopertura, chiudere i debiti contratti per rimediare ai furti e all’incendio. Di più. I fornitori ancora gli vendono le merci ma senza più pagamenti agevolati, chissà mai che gli capiti qualcosa e sia difficile recuperare i crediti. Nulla di strano.A Reggio in fondo la ‘ndrangheta non ha mai avuto vita difficile, almeno fino a pochissimi anni fa. Per un investigatore che fa il suo dovere ce ne sono il doppio o il triplo che insabbiano o si voltano dall’altra parte. Tiberio scopre la realtà: di qua un mondo, quello che dovrebbe proteggerlo, vischioso e indolente, di là un avversario di mente e mano fermissime.

Così nel 2003 arriva la bomba che devasta l’emporio S.Elia. E un altro incendio doloso arriva nel 2005. Le vicissitudini giudiziarie e amministrative sono troppo intricate per raccontarle. Ma certo colpisce questa passerella di ministri che a Roma invitano a credere nello Stato, a ribellarsi ai clan perché ognuno deve fare il suo dovere, e lui che scopre solo casualmente in questura che esiste una legge che gli consente di chiedere il risarcimento del danno subito, perché quelli che ne raccolgono le denunce e lo sentono disperarsi mica lo avvertono dei suoi diritti. Colpiscono i ritardi infiniti della prefettura, quella pratica che non si smuove mai, fino a strangolarlo, perché lo Stato ha cento modi per farti inginocchiare davanti alla violenza mafiosa. Fino alla scelta obbligata e dolorosa di andare lui fuori legge, di non pagare più i contributi ai suoi dipendenti pur di non metterli sulla strada in una Calabria dove la disoccupazione tocca cifre da capogiro. Deve intervenire Libera perché quel risarcimento inizi finalmente a essere onorato.

Non una ma più volte l’associazione manda proprie delegazioni a Reggio e interviene su Roma per difendere l’imprenditore che non si è arreso. Ma parallelamente è uno stillicidio di episodi che portano tutti il segno della solitudine e della paura. Pignoramenti, lettere minatorie, un altro incendio della sanitaria. Perfino il processo che porta in carcere gli aguzzini è una parziale sconfitta. Non viene riconosciuta l’estorsione, infatti, con le conseguenze devastanti che questo ha per i suoi diritti. È il febbraio del 2010.

Il 9 febbraio del 2011, esattamente un anno dopo la condanna degli aguzzini, Tiberio subisce un attentato rimasto quasi sconosciuto alle cronache nazionali. E questa volta il bersaglio fisico è lui, la sua persona. Gli sparano dopo che è sceso dal furgone, mentre sta andando a lavorare nel suo frutteto. Sei colpi. Uno lo prende al polpaccio, uno lo prende alla schiena ma finisce per fortuna sul marsupio, dagli altri si salva gettandosi dentro il furgone. Allora anche le autorità che si sono rifiutate d’incontrarlo si profondono in comunicati di solidarietà. Allora si scopre che gli imprenditori “non devono essere lasciati soli”. “Sei come Garibaldi”, gli scrive un amico, “anche tu ferito a una gamba in Aspromonte”. Due mesi dopo però arriva la rivincita. L’operazione “Raccordo” della Dda di Reggio Calabria gli dà ragione su tutta la linea. Disegna la trama associativa e il reticolo criminale che lo ha colpito impunemente più volte. Il quartiere Condera, il racket, il boss Santo Crucitti (che finisce agli arresti), il ruolo ambiguo del parroco, e al centro lui, Tiberio, vittima designata e coraggioso fondatore della associazione anti-racket “Reggio Libera Reggio”. Ci sono voluti vent’anni, quanti nessuno forse ha mai saputo resistere. Nella Reggio svergognata dallo scioglimento del consiglio comunale, lo sguardo giusto di Tiberio Bentivoglio racconta una storia che l’Italia ciarliera e sciatta di questi giorni dovrebbe conoscere e onorare.”

Il Fatto Quotidiano, 17 Febbraio 2013

GIAVENO, UNA NUOVA PIAZZA DEDICATA AI GIUDICI FALCONE E BORSELLINO

Il 28 Marzo in Giaveno, l’amministrazione ha dedicato una piccola piazzetta adibita a parcheggio pubblico ai magistrati ANTIMAFIA -GIOVANNI FALCONE E PAOLO BORSELLINO. LIBERA era presente con la rappresentanza del presidio VALSANGONE (Don Pino Puglisi).

Tra i partecipanti, oltre la presenza di alcune associazioni, c’erano i ragazzi della scuola elementare “ANNA FRANK” i quali hanno letto brani del libro di Alberto Melis “DA CHE PARTE STARE” che racconta la vita giovanile dei due magistrati raccontata dalle due sorelle.
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GIAVENO, LETTURA DEI NOMI DELLE VITTIME INNOCENTI DI MAFIA

Anche a Giaveno si è voluta mantenere VIVA la memoria delle vittime innocenti delle MAFIE.

E’ stata una manifestazione con una partecipazione sentita, a cui hanno partecipato rappresentanti nell’attuale amministrazione, ma anche di quanti intendono proporsi alle prossime elezioni. Ma quello che più ci ha colpito sono stati i “GIOVANI”. Hanno infatti preso parte anche classi della scuola elementare CROLLE delle medie della “GONIN” e una rappresentanza del liceo “PASCAL”. Tutti hanno portato il simbolo del tema trattato quest’anno, “RADICI DI MEMORIA, FRUTTI D’IMPEGNO” con cui hanno decorato la piazza.

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21 MARZO 2014, XIX GIORNATA DELLA MEMORIA

Programma Valsangone

21 marzo 2014: XIX Giornata della Memoria e dell’Impegno per ricordare le oltre 900 vittime innocenti delle mafie.

Dal 1996 ogni anno il 21 marzo, Libera Associazione Nomi e Numeri contro le mafie, celebra la giornata della memoria, con una grande manifestazione che quest’anno si svolgerà a Latina, ma s’impegna anche, attraverso i presidi, ad organizzare momenti di riflessione e ricordo in molti Comuni del territorio nazionale, perché il primo giorno di primavera diventi simbolo della speranza che si rinnova, prendendo ad esempio i famigliari delle vittime che hanno trovato il coraggio e la forza di superare il loro dramma ed impegnarsi nella ricerca della giustizia, trasformando il loro dolore in uno strumento concreto e non violento di lotta ad ogni forma di violenza e sopruso.
Il momento centrale di questa giornata è la lettura dei nomi delle vittime, atto che restituisce loro dignità e ne onora la memoria: si tratta di semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle Forze dell’Ordine, imprenditori, sacerdoti, sindacalisti, esponenti politici ed amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.

Il presidio “Don Pino Puglisi” presente in Val Sangone, ha organizzato a Giaveno in piazza Mautino dalle ore 14,30 la lettura dei nomi delle oltre 900 vittime innocenti di mafia, coinvolgendo alcuni alunni della scuola primaria di primo grado “Crolle” e della secondaria di primo grado “Gonin”, incontrati nelle scorse settimane dal presidio.
Saranno presenti anche alcuni studenti della scuola secondaria di secondo grado “B.Pascal” e alcuni ragazzi associati al circolo ARCI “Hakuna Matata” di Bruino.
La giornata si concluderà con la proiezione alle 21, 30 presso la sede del Circolo Hakuna Matata a Bruino, Via Roma 28, del film “Fortapasc”, con ingresso gratuito riservato ai soci.

La giornata del 21 marzo rappresenta per il presidio “Don Pino Puglisi” una tappa importante in un percorso che vuole stimolare il territorio nell’accrescimento della consapevolezza che tutti siamo responsabili della difesa della legalità e ritiene che fare memoria sia, usando le parole di Don Ciotti “ un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta ma, prima ancora, verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di donne e uomini che vivono il proprio tempo senza rassegnazione”.

PROCESSO STATO-MAFIA

Sono mesi ormai che si “parla” e si porta avanti un’inchiesta importantissima che ha lo scopo di portare alla luce eventuali responsabilità di ELEMENTI dello stato collegati, collusi o comunque coinvolti in RAPPORTI con la MAFIA.

Perchè questo è importante? Ricordo all’epoca del rapimento Moro, che i politici continuavano a dire “LO STATO NON PUO’ PERMETTERSI DI TRATTARE CON I MALVIVENTI….”

Ebbene, come possibile allora che alcuni “elementi” si lasciano coinvolgere, non solo “RICATTARE” ma patteggiare, concludere AFFARI ( anche di stato) con questi soggetti mafiosi.

Oggi che questo processo è stato avviato, oggi che si parla di di CHI POTREBBE ESSERE COINVOLTO, alcuni BOSS, vedi TOTO RIINA, non solo minaccia ma fa trapelare informazioni che portano a concludere che il “PRESUPPOSTO” e quanto mai reale.

Eccovi un articolo da IL FATTO QUOTIDIANO che riassume quanto detto e le ultime MINACCE DEL BOSS.

nino-di-matteo-pm“Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Il boss Totò Riina da mesi minaccia il pm di PalermoNino di Matteo. E da mesi il padrino di Corleone, detenuto al 41bis, intercettato fa arrivare i suoi ordini di morte dal carcere. Il magistrato, tra l’altro pubblica accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia, è già sottoposto a un livello eccezionale di protezione. Il boss usa le stesse parole che in un’altra intercettazione aveva usato per i magistrati Falcone e Chinnici: “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. Nelle conversazioni inedite, depositate agli atti del processo, il boss dice anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non deve andare a testimoniare al processo in corso a Palermo. I magistrati di Palermo sono preoccupati perché alcune notizie in possesso di Riina il 14 novembre 2013 non erano ancora state pubblicate sui giornali.

Le informazioni inedite: “Riina conosce notizie mai pubblicate”. C’è preoccupazione in Procura a Palermo perché notizie mai uscite sui giornali sono a conoscenza di Riina e Lorusso. È il 14 novembre del 2013 e gli inquirenti trascrivono l’ennesima intercettazione captata nel cortile del carcere Opera. Quando la notizia delle minacce di Riina al pm Antonino Di Matteo era finita sui giornali, i magistrati decisero di presentarsi in massa in Tribunale per manifestare ai pm del processo per la trattativa tra Stato e mafia la loro solidarietà. Ma la decisione non era stata ancora ufficializzata né era finita sui giornali o in tv e se n’era parlato soltanto via mail tra pm e poche persone. Così è Lorusso ad avvisare il 14 novembre scorso Riina: “…hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pubblici ministeri all’udienza… saranno presenti tutti”. E Riina annuisce: “Ah tutti”. Ma la notizia era circolata solo sulla mailing list interna al Palazzo di giustizia.

Il boss a un esponente della Scu: “Organizziamola questa cosa”. Le nuove minacce risalgono al 16 novembre 2013. Sono le 9.30 e il boss parla ancora con il boss della Sacra Corona UnitaAlberto Lorusso durante l’ora della cosiddetta “socialità” nel carcere milanese di Opera. Mentre Riina dice “organizziamola questa cosa”, tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta, come scrivono gli uomini nella Dia nell’intercettazione depositata questo pomeriggio dai pm nel processo per la trattativa. Riina dimostra di non avere paura di Di Matteo: “Vedi, vedi – dice – si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…”. Poi sul progetto di attentato: “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari”. E parla del fallito attentato al vicequestore Rino Germanà, nel trapanese. Il poliziotto si salvò solo perché si era gettato in mare mentre il boss Bagarella gli sparava. Era il 14 settembre del 1992, pochi mesi dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio: “Partivamo la mattina da Palermo a Mazara. C’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo… Era pomeriggio, tutti i giorni andare e venire, da Mazara. A chi hanno fatto spaventare, a nessuno, che poi quello si è buttato a mare. Loro facevano avanti a indietro e gliel’hanno fatta là a Germanà”. “Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica” aveva detto Riina a un esponente della Sacra Corona Unita con cui condivideva l’ora d’aria il 14 novembre dell’anno scorso. Al mafioso pugliese che gli chiedeva come avrebbe fatto ad eliminarlo se l’avessero portato in una località riservata, Riina avrebbe risposto: “Tanto sempre al processo deve venire“. E per questo il magistrato non aveva presenziato all’udienza che si è tenuta a Milano l’11 dicembre scorso quando è stato sentito Giovanni Brusca. In una intervista al Fatto Quotidiano il pm lanciava l’allarme sulla sua vita: “Ha ordinato di uccidermi”.

“Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”dice Riina parlando di Di Matteo con il pugliese. “Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”, aggiunge. ”Mi viene una rabbia, ma perché questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti … ammazzarli, proprio andarci armati e vedere … Si ingalluzziscono, proprio si ingalluzziscono… perché c’è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno ‘strumentio’ (strumentalizzazione ndr) completamente e le persone sono con loro…”. Il boss, parlando sempre con Lo Russo, ricorda sorridendo la strage in cui fu ucciso il giudice Rocco Chinnici, saltato in aria per l’esplosione di un’autobomba il 29 luglio del 1983. Il capomafia assistette da lontano un commando di killer di Cosa nostra, che sbalzò in aria il magistrato facendolo poi ricadere a terra: “Quello là saluta e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il Procuratore Generale di Palermo … Per un paio d’annimi sono divertito. Minchia che gli ho combinato“. E ancora “dobbiamo prendere un provvedimento per voialtri – dice Riina come se parlasse ai magistrati -, uno che vi fa ballare la samba così che vi fa salire nei palazzi e vi fa scendere come vuole, come se fossero formiche”. “Se io restavo sempre fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo al massimo livello” dice Riina. “Minchia, eravamo tutti mafiosi… i capimafia… Totò Riina non li faceva passare…” dice parlando in terza persona.

“Il Presidente non deve testimoniare al processo”. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “non deve testimoniare al processo per la trattativa tra Stato e mafia” risponde il capomafia a Lo Russo che a Riina dice che in televisione sono in tanti i politici a stigmatizzare la richiesta della Procura di ascoltare in aula il Presidente Napolitano. Lo Russo cita anche il vice presidente del Csm Michele Vietti e altri politici, concordi nel ritenere inopportuna la testimonianza di Napolitano. Riina dice: “Fanno bene, fanno bene… ci danno una mazzata… ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo”. E Lo Russo ribatte: “Sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare”. Riina dice: “Io penso che qualcosa si è rotto…”. E parlando del pm Nino Di Matteo: “Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. È un disgraziato… minchia è intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani… ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende…”.

Riina su Messina Denaro: “Pensa solo a se stesso…”. Il padrino di Corleone parla anche del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro. In una intercettazione ambientale, fatta dagli investigatori lo scorso 30 ottobre Riina si lamenta: “A me dispiace dirlo questo signor Messina” che per gli inquirenti è Messina Denaro, “questo che fa il latitante che fa questi pali … questi palo eolici… i pali della luce”. E Lo Russo, di rimando, gli dice: “Pensa solo a se stesso… pazienza”. Riina replica: “No, ma per dire che questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi, ma non si si interessa di…”. Insomma, secondo il boss Rina, Messina Denaro si interesserebbe solo agli affari con l’energia eolica e non dei ‘bisogni’ di Cosa nostra. Riina ricorda: “Ah, se ci fosse suo padre buonanima, perché suo padre era un bravo cristiano, u zu Ciccio era di Castelvetrano, però… e devo dire la verità ha fatto tanti anni di capomandamento a Castelvetrano, a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un cristiano, un orologio, lo chiamavo ‘u rugiteddù. Questo qua, questo figlio lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia, tutto in una volta, si è messo a fare luce e… tutti i posti a fare luce. Che vuoi, fanno altre persone e a noi ci tengono in galera, sempre in galera, però quando siamo liberi li dobbiamo ammazzare“.

E Riina cita Sciascia e i professionisti dell’Antimafia. C’è spazio anche per la citazione dello scrittore Leonardo Sciascia e i suoi professionisti dell’Antimafia citati in un ormai famoso articolo pubblicato il 10 gennaio del 1987, nei colloqui tra Riina e il compagno d’ora d’aria. I due parlano dei magistrati criticando aspremente il loro operato. “Lui (Sciascia ndr) – dice il pugliese – gli diceva la verità, lui era uno di quelli che teneva il coraggio di parlare…”. E Riina: “Minchia, ma quello era tremendo, lui sembrava un mafioso vero, ma poi quello era una persona studiosa, una persona…”.  E l’altro: “Una persona studiosa e onesta”. Riina: “onesta, onesta”. Il pugliese: “… che non si faceva intimorire dai magistrati, che non si faceva intimorire e li chiamava i professionisti dell’antimafia”. Riina ribatte con forza: “Minchia, così sono professionisti dell’antimafia, tanto professionisti che a questi non li poteva vedere, questi li aveva come ‘l’uva da appendere’, ma sempre li attaccava, sempre dalla mattina alla sera, perché vedeva quello che facevano, ci constatava, lo constatava lui, però l’Italia è fatta così…”

Processo Stato-Mafia, il pentito: “L’omicidio Dalla Chiesa fatto da Craxi e Andreotti”

È un fiume in piena Francesco Onorato, collaboratore di giustizia e oggi testimone nell’aula bunker del carcere Ucciardone. Parla di Claudio Martelli e dell’omicidio Lima: “Trattativa? Ma quale Trattativa? Io ho visto solo la convivenza tra politica, Stato e mafia”

L’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa? “Lo hanno fatto i signori Craxi e Andreotti, che si sentivano il fiato addosso”. Claudio Martelli? “Cosa Nostra lo finanziò con 200 milioni per farlo diventare Guardasigilli”. Salvo Lima? “Il primo nome nella lista dei politici da eliminare, insieme a Giulio Andreotti, Calogero Mannino e Carlo Vizzini”. Il gruppo di fuoco della commissione di Cosa Nostra? “Farne parte era come giocare nella Nazionale di calcio”.

È un fiume in piena Francesco Onorato, collaboratore di giustizia e oggi testimone del processo sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra, in corso a Palermo all’aula bunker del carcere Ucciardone. Il boss aveva cercato di rinviare la sua testimonianza “perché – ha spiegato – non mi sento pronto moralmente e psicologicamente. A causa di un infortunio a mia moglie”. Pochi attimi dopo, però, ci ha ripensato aprendo a giudici e avvocati il libro dei ricordi tra morti ammazzati e rapporti a cavallo tra mafia e istituzioni. Una trentina di omicidi sul groppone, un passato da killer micidiale agli ordini di Saro Riccobono prima, e di Totò Riina poi, Onorato ha spiegato che “fare parte del gruppo di fuoco della Commissione di Cosa nostra era come fare parte della Nazionale di calcio: ci entravano persone con capacità particolari”.

Il 12 marzo del 1992 è suo l’indice che a Mondello preme il grilletto in via Danae: nel mirino c’è la chioma bianca dell’europarlamentare democristiano Salvo Lima, primo politico da eliminare dopo le promesse fatte a Cosa Nostra, e poi non mantenute, sull’annullamento delle sentenze del Maxi processo, divenuto definitivo poche settimane prima. “Non ho fatto l’omicidio Lima perché era nel mio territorio – ha raccontato il pentito collegato in videoconferenza – ma era fuori dal mio territorio, dovevo partecipare anche all’attentato poi fallito del commissario di Polizia Rino Germanà, ma poi ci andò Leoluca Bagarella”.

L’omicidio di Salvo Lima è il primo atto di guerra che Riina rivolge allo Stato, primo pezzo della lunga catena che poi porterà le istituzioni a trattare con la piovra. “I primi politici da eliminare – ha raccontato Onorato – erano Salvo Lima e Giulio Andreotti. Ma c’erano anche Calogero Mannino, Vizzini, i cugini Salvo, Claudio Martelli, Ferruzzi e Gardini”. Secondo il collaboratore di giustizia lo stesso Martelli in passato avrebbe avuto contatti con le cosche. “Io da reggente della famiglia di Partanna Mondello, tra il 1987 e il 1988 presi 200 milioni per finanziare Claudio Martelli perché si diceva che faceva uscire i mafiosi dal carcere: l’abbiamo fatto diventare ministro della Giustizia”. Ed è proprio sui rapporti tra Cosa Nostra e lo Stato in tempi di stragi che Onorato ha concentrato la sua testimonianza. “Perché Riina accusa sempre lo Stato? – ha spiegato il collaboratore – Perché è l’unico che sta pagando il conto, mentre lo Stato non sta pagando niente, per questo motivo Riina tira in ballo sempre lo Stato. Ha ragione ad accusare lo Stato, da Violante ad altri. È lo Stato che manovra, prima ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa i signori Craxi e Andreotti che si sentivano il fiato addosso. Perché Dalla Chiesa non dava fastidio a Cosa Nostra Poi nel momento in cui l’opinione pubblica è scesa in piazza i politici si sono andati a nascondere. Per questo Riina ha ragione ad accusare lo Stato”. Paradigmatica anche la considerazione che l’ex killer dei corleonesi ha fatto sull’oggetto principale del processo. “Trattativa? Ma quale Trattativa? Io ho visto solo la convivenza tra politica, Stato e mafia”.

Fonte:il FATTO QUOTIDIANO
di Giuseppe Pipitone | 7 novembre 2013

L’omaggio di Milano a Lea Garofalo. Don Ciotti: “Oggi la verità è giustizia”

Autorità sostengono Lea

Tanti cittadini in piazza Beccaria per ricordare la testimone di giustizia uccisa dalla mafia. Durante la cerimonia viene letto il messaggio che la vittima scrisse a Napolitano: “Abbiamo bisogno di aiuto”. Il messaggio della figlia Denise, costretta a vivere nascosta

Tremila bandiere fucsia, gialle e arancioni – i colori di Libera, l’associazione presieduta da folla per Leadon Luigi Ciotti – con il volto giovane e sorridente della ex collaboratrice di giustizia Lea Garofalo e la scritta ‘vedo, sento parlo’. E tanti, tantissimi mazzi di fiori, degli stessi colori delle bandiere, in un’onda colorata che per una mattinata ha rotto il grigiore del cielo sopra Milano e insieme ha fatto da sfondo a una cerimonia che ha voluto lanciare un messaggio preciso per affermare, usando le parole di don Ciotti, che “la verità è giustizia”.

Un delitto con quattro colpevoli. La città ha reso l’ultimo omaggio a Lea Garofalo, la giovane donna che ha trovato il coraggio di collaborare con la giustizia, denunciare quel contesto di ‘ndrangheta in cui era vissuta e che per questo, proprio a Milano, ha trovato la morte: il 24 novembre del 2009 Lea e’ stata separata dalla figlia, rapita, interrogata, uccisa e bruciata. Quel che resta di lei, 2.800 frammenti ossei, sono stati recuperati lo scorso anno in una buca nel quartiere monzese di San Fruttuoso. Per il suo omicidio sono state condannate all’ergastolo quattro persone fra cui Carlo Cosco, il suo ex compagno e padre di sua figlia Denise.

Il saluto della figlia Denise. A volere che il funerale della madre si tenesse a Milano è stata proprio Denise, che oggi ha 22 anni e che ancora vive sotto protezione. Ospitata per motivi di sicurezza nella palazzina comunale che ospita il comando della polizia locale, Denise non ha perso un attimo della celebrazione che ha commosso centinaia di persone ed è intervenuta in prima persona, dietro una balconata, per dire “ciao mamma”. Facendo risuonare la sua voce in tutta la piazza, in un breve addio insieme orgoglioso e straziante, la ragazza ha salutato i presenti: “Ciao a tutti e grazie di cuore di essere venuti qui. Per me è un giorno triste ma la forza me l’hai data tu, mamma. Se è successo tutto questo è stato solo per il mio bene”.